Incontro con la signora Gemma che per anni ha custodito tutte le cose di Colavini nella casa di Udine dove il pittore ha vissuto.

 

- Memorie sulla vita -


Colavini è un artista che è stato dimenticato per troppo tempo e sono contenta di poter finalmente parlare di lui. È un omaggio alla sua memoria, ma anche un omaggio al Friuli, perché anch'io sono friulana e vi ringrazio per la possibilità che mi date di raccontare quello che so e che ricordo.
Io sono stata la sua più grande ispiratrice, poiché stavo volentieri con lui, apprezzavo i suoi pensieri, mi entusiasmavo al suo lavoro, seguitò con discrezione i suoi discorsi; e lui mi ripeteva spesso: «Tu, Gemma, mi sai ascoltare».
 

Eravamo cinque sorelle, insieme ai genitori andammo ad abitare in casa sua nel 1926, quando la sorella di Colavini, Maria, andò a vivere con una parente. Era arrivato a Udine nel 1898 da Monaco di Baviera, dove aveva frequentato l'Accademia sotto la guida artistica del maestro Lenbach, un famoso ritrattista tedesco. Là si era affezionato alla figlia del maestro, che si chiamava Marion e Colavini, per ricordare quegli anni, firmò molte opere Arturo Marion Colavini.


A Udine, nei primi tempi, abitava in via Viola; ma nel 1904 cominciò la costruzione del suo «eremo» con annesso grande studio per il suo lavoro e nel 1905 venne ad abitarci. Questa, all'epoca, era una strada molto signorile, abitata da professionisti, tranquilla e silenziosa. Colavini s'impose come artista, tanto che nel 1908 fu eletto membro della Commissione direttrice del Museo Civico e della Biblioteca di Udine.
Pur abitando a Udine mantenne sempre i contatti con gli amici e gli artisti di Monaco, con i quali per anni aveva condiviso le difficoltà e la spensieratezza della vita bohemmienne. Qui si recò quasi una volta al mese fino agli ultimi anni di vita.
 

Un'influenza notevole su Colavini ebbe la madre, Anna Comelli, che, di nascosto dal marito, pur desiderando che il figlio diventasse ingegnere, aveva assecondato le sue aspirazioni arti-stiche mandandogli parte della sua rendita per il mantenimento agli studi a Monaco.
 

Intorno ai quarant'anni Colavini conobbe una donna, Giulia, che lasciò una profonda traccia nella sua vita di uomo e di artista. Questa donna frequentava la sua casa, stava assieme alla mamma e alla sorella, andava con lui anche a Novacco e gli amici la consideravano come sua moglie. Ma un giorno la giovane, in un momento di nervosismo, mancò di rispetto alla madre che egli adorava. Colavini allora decise di troncare la relazione, dandole tre giorni di tempo per lasciare la casa. Assieme alla madre prese il treno per Strassoldo e andò a Novacco.

Al suo rientro dopo tre giorni, trovandola ancora in casa, l'accompagnò alla stazione, allontanandola definitivamente dalla sua vita. Rientrando, vicino al portone trovò una rondine morta, riversa, con le zampine all'aria. Questa scena gli ispirò un quadretto, che disgraziatamente è stato rubato e in cui si leggeva tutta la sua tristezza, che non lo avrebbe più abbandonato.
 

Allo scoppio della prima guerra mondiale Colavini dovette allontanarsi da Udine, perché proveniente dalla zona illirica (Aiello, all'epoca, era sotto l'Impero Austro-Ungarico) e si recò a Firenze, dove lavorò molto nel campo del restauro. In casa sua a Udine si stabilì lo scultore Ceconi di Montececon, proveniente da Pielungo di Vito d'Asio, di famiglia molto ricca, ma anch'egli contrastato dalla famiglia per la scelta artistica.
Durante questi anni di guerra, dovendo starsene lontano dal Friuli, viaggiò molto. Andò a Roma, Milano, in Sicilia, in Sardegna, in Spagna. Questa passione per i viaggi lo portò sempre a visitare gallerie e mostre importanti sia in Italia che a Parigi e a Londra.
 

Ritornato in Friuli nel 1917, dopo Caporetto, riprese a dipingere con vigore, lavorando molto per le famiglie nobili friulane, per le quali non era soltanto un artista al quale commissionare opere, ma soprattutto un amico.
All'avvento del fascismo Colavini fu messo un po' in disparte, ma continuò sempre la sua attività. Aveva una piccola rendita, ma egli viveva più che altro del suo lavoro; oltre che essere pittore e restauratore e incisore, progettava mobili, costruiva da solo e indorava cornici per i suoi quadri, modellava la terracotta; era un esperto nell'attribuzione delle opere d'arte e per questo motivo veniva richiesta la sua consulenza in occasione di divisioni di eredità.
 

Continuava a visitare mostre, esposizioni e di tutto quello che vedeva faceva schizzi, prendeva appunti e scriveva giudizi. Ammirava molto il Tiepolo per i colori e la luce e ne fece su ordinazione molte copie (per esempio «L'Assunta della Purità» che si trova presso il Seminario di Udine). Per i colori andava spesso nel giardino della Villa Frangipane e si ispirava alle tonalità delle dalie e di altri fiori tenuti nelle serre.
 

Rispettava sempre un suo orario di lavoro; stava chiuso nello studio fino alle sei di sera, poi andava in stazione a comperare il «Corriere» e il «Berliner Tageblatt». Era un uomo ordinato, amava il silenzio e la quiete, rimpiangeva la calma di Monaco. Ma aveva anche amici: frequentava il caffè Dorta, ritrovo degli appassionati d'arte, amava tenersi al corrente degli avvenimenti.
Amante del bello, religioso come sono tutti gli artisti, non andava mai a messa, ma era amico di tutti i preti; andava spesso in seminario e i monsignori venivano a trovarlo a casa, soprattutto per lavoro e scambi culturali. Fece il ritratto al poeta Ellero di Tricesimo che gli dedicò una poesia.

Parlava in friulano con quelli che parlavano friulano, in dialetto veneto con noi, in italiano con i signori, in tedesco coi tedeschi, e anche in francese.
 

I «nudi» sono una parte importante dell'opera di Colavini, ma cinquant'anni fa era difficile venderli: «sì, - dicevano - quel Colavini è bellissimo, ma non posso metterlo nel tinello, perché la moglie, la suocera, si mettono le mani nei capelli» e quelli che li compravano li appendevano negli studi privati. Perciò soprattutto questa parte dell'opera di Colavini è rimasta poco conosciuta.
 

Moltissimi quadri eseguiti su commissione non sono firmati, ma si riconoscono subito per il tratto e perché nessuno ha mai toccato la sua opera. Colavini infatti non ha avuto allievi, ha lavorato sempre solo.
A tutte noi sorelle ha lasciato dei magnifici ritratti; erano i suoi regali di compleanno o di Natale. Siamo state per lui, fino alla sua morte, come una seconda famiglia. Abitiamo ancora nella sua casa dove ci sono tante testimonianze di lui.
 

Gemma

 

 

 

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