Introduzione
Per i bambini ascoltare i racconti dei grandi era fascino, curiosità.
Adesso, nell'età dei villaggio globale, le lingue si conoscono, si intersecano; alcune aprono più porte, diverse schiudono spiragli, ma tutte sono un atto d'amore per chi le parla e le possiede. Tutte le lingue hanno pari dignità. Fino cinquantanni fa, o quasi, a Gorizia tantissimi erano quadrilingui (italiano, friulano, sloveno, tedesco); andando verso il vecchio confine, le lingue si riducevano a tre (qualcuno, che aveva studiato, conosceva anche lo sloveno). Chi scrive era affascinato da chi si esprimeva in altra lingua.
Si sentiva come eco il tedesco. un'eco che dalla grande guerra si spegneva, continuata in qualche scuola non solo goriziana. L'aver fatto parte dell'Europa, con secoli di anticipo sui tempi, pareva una colpa. In Europa erano state queste terre, senza "servaggio" alcuno, come la stanca rettorica di libri di testo predicava insultante. Il tedesco si era cominciato a imparare nelle scuole di paese nella prima metà dell'Ottocento; proprio per uscire dallo stato di periferia, come predicavano illuminati uomini di scuola (il tapoglianese Antonio Marcuzzi, ispettore distrettuale ... ); era la lingua dell'Impero Austroungarico.
Zia Immacolata, orsolina a Gorizia, profuga a Bischoflack; vecchi dizionari di tedesco e sloveno trovati in casa; qualche parola di mons. Angelo Trevisan, decano di Visco (poi venne fuori che era un eminentista dello Staatsgymnasium di Gorizia e cappellano dei profughi a Landegg); meno di dieci parole della zia Valburga, che in tedesco si rivolgeva a Robert; il nonno Toni Politti (Loveàn) con lo stemma della marina imperiale tatuato sul braccio, che ricordava l'Austria con la cugina Ines Zecchini; il maestro Pazzut che aveva studiato a Capodistria; Faidutti, Bugatto che quasi non bisognava ricordare... La nebbia dei ricordi, resa magica dal sogno, si diradava e, in confronto con allusioni, condanne, epiteti ingiuriosi ("austriacante! ") tanti fatti venivano conosciuti criticamente.
Se mons. Trevisan aveva avuto l'odierno dieci (alla matura!) in tedesco, lo aveva avuto anche in italiano e in latino... Robert era un giovane di Vienna che nel Diciassette era venuto a Ruda perché là erano solidali con la sua fame; il nonno Toni aveva fatto quattro anni di Kriegsmarine e quattro di guerra, ma era stato fedele suddito austriaco e poi leale cittadino italiano; il maestro Pazzut era stato tenente A.U.; Faidutti e Bugatto erano stati tenuti lontani dall'Italia come nemici, eppure avevano difeso l'italianità nell'Impero. Anche quel "Tantum Ergo" così solenne, cantato nelle grandi feste riceveva spiegazione: era il "Serbi Dio...", l'inno imperiale, nascosto (forse con irriverenza) nel sacro, ma nascosto come sacralità estrema, fedeltà impossibile fatta protesta. Era tutta gente italiana di nazione, che non metteva neppure in dubbio l'appartenenza, ma che aveva saputo vivere in uno Stato che ammirava e ricordava con nostalgia.
L'incontro con l'Italia non era avvenuto nel migliore dei modi: preti internati (decine ... ); sfilacciato il sistema di garanzie sociali di casse rurali e cooperative; via i crocifissi e l'insegnamento religioso dalle scuole (con una reazione pressoché generale); eliminata l'autonomia; spenta la provincia di Gorizia, e poi sempre quel "austriacante" lanciato come un'arma. Su quella storia scese il silenzio; il memoriale di Faidutti e Bugatto, tessuto di dati, di fatti, di testimonianze, era stato il monumento di serietà, dignità e rigore morale lasciato in eredità, perché le idee non morissero. Silenzio e lealtà, nonostante le mille offese. Camillo Medeot e Renato Jacumin furono tra i primi a riandare a quegli anni e a quelli immediatamente successivi, riscoprendo le grandi idee.
Giorgio Milocco, da tempo, ha trovato occasioni per ricostruire il tessuto connettivo della vita nei paesi della Bassa, che aveva iniziato il riscatto con la solidarietà e con la lotta, con la organizzazione politica e sociale. Diari sepolti dal tempo, lettere, fotografie, giornali in cui palpita l'umanità, si riscoprono le passioni, le verità taciute o soffocate. Gente di livelli culturali diversi, che ha detto la sua senza remore; e allora escono analisi di chi conosceva bene realtà politiche, ma anche semplici domande di chi sembra chiedersi ancora il perché gente nostra sia stata internata per aver messo un lume sotto la immagine di Franz Josef ("son stas via plui di un an par un lumìn") o perché, "passavin notizis al nimì (che erin i nestris)".
E' un'occasione per riflettere su di una fedeltà durata per secoli, che già la stupefatta relazione dei Provveditore generale di Palma segnalava nella relazione al Senato veneto nel 1610. Ancora oggi molti faticano a distinguere tra Stato e nazione e leggono la storia a modo loro. I nostri avi sapevano benissimo la differenza e ricerche come questa rendono loro giustizia.
Ferruccio Tassin
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