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Dopo aver visto gli album dei reportage africani
di Ulderico Bressan, giovane ufficiale, serio e impeccabile nella bella
divisa bianca anche nei miseri villaggi africani, e dopo aver ascoltato
i tanti racconti di suo figlio Carlo su quelle «mitiche» foto, non ho
avuto dubbi nell'incoraggiarlo a far conoscere ed apprezzare questo
prezioso materiale.
Scrivendo di Ulderico, Carlo ha ripercorso un
secolo di storia: i ricordi della Grande Guerra, il fascismo, la
violenza, la manipolazione delle coscienze e le ambizioni imperiali, la
conseguente tragedia della seconda guerra mondiale, la prigionia
americana, gli anni difficili dell'immediato dopoguerra e il microcosmo
di Aiello, il loro paese: Aiello centro del mondo e di una intensa e
attiva vita sociale a cui entrambi hanno sempre partecipato con grande
generosità e passione.
Nella storia di Ulderico irrompe prepotentemente
quella dell'irrequieto e amatissimo figlio Carlo. Un forte legame li
univa, alimentato costantemente oltre che dall'affetto, dalla
condivisione di una grande passione per i libri, per la cultura, per i
valori e gli ideali che Ulderico trasmetteva, come insegnante, a tante
generazioni di scolari.
Ulderico è stato un padre sempre presente,
amorevole ma anche severo, un esempio di vita e, pur non condividendo
tutte le scelte del figlio, non le ha mai contrastate e lo ha sempre
sostenuto nei momenti difficili. Anche in questi ultimi mesi, tristi e
dolorosi, i pochi momenti di serenità e speranza gli sono venuti proprio
dal ricordare e scrivere di lui. Uno dei tanti motivi per cui questo libro mi è caro è che, essendo coetanea di Carlo e bambina di paese, ho rivissuto attraverso i suoi ricordi la mia infanzia. Infanzie felici le nostre, di tanti giochi e amici, partecipi attenti e curiosi delle storie e dei conflitti degli adulti, spesso per noi incomprensibili, che però ci sono stati di stimolo per capirne di più.
Ho rivissuto con lui anche le storie di amici e
compagni della nostra giovinezza per nulla frivola, fin troppo
impegnata, durante i difficili anni Settanta. Anni che hanno lasciato in
Carlo e in tanti altri un segno indelebile. Non c'è rimorso, ma
rimpianto per le illusioni perdute e rabbia per essere stati strumenti
inconsapevoli di forze «istituzionali» che venivano ritenute al di sopra
di ogni sospetto.
Questo libro ha anche il merito di trasmettere
alle nuove generazioni, in modo simpaticamente ironico, la testimonianza
di un recente passato poco conosciuto e di cui si va rapidamente
perdendo memoria.
Bianca Agarinis
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La geografia della mia infanzia e prima adolescenza, che si svolgeva nella parte slovena della Provincia di Gorizia tra Aidussina, Comeno e Tolmino (con una fugace parentesi gradiscana) aveva due riferimenti ideali: Aurisina, paese di mia madre e Bicinicco (con prolungamento Palmanova) paese di mio padre.
Aiello diventò per me concreta realtà, e non solo
il paese delle «meridiane», appena negli anni Sessanta-Settanta, nella
grande stagione dei dibattiti politici e culturali anche sul Cinema in
occasione della presentazione di film: anni di entusiasmi e passioni che
il libro di Bressan vivacemente rappresenta, cui si intrecciano episodi
dell'incipiente terrorismo «regionale» del quale fu momento essenziale
la Strage di Peteano. Le pagine che il libro vi dedica sono anche un
contributo alla sua cronaca-storia; rilevante è, per esempio, l'episodio
del testimone di accusa Gallina sentito in Assise in primo grado.
Il libro di Bressan non è dunque solo «viaggio
nella memoria» ma anche storia orale che aiuta a capire un momento
importante dell'evoluzione politica, culturale e sociale di una stagione
e di un Paese che, non del tutto consapevole del percorso finale, si
stava avviando verso la crisi di fine secolo.
Un grazie retrospettivo a Carlo per questo suo
libro.
Nereo Battello
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L'incipit di questo affascinante e significativo gioco della memoria è costituito dall'album africano di Ulderico. Il figlio è attratto e al tempo stesso respinto: le immagini inconsuete e serene dell'Africa contrastano visibilmente con le nefandezze di Oraziani e del colonialismo italiano.
Ma l'album è l'inizio della lunga storia del
rapporto tra un padre e il figlio irrequieto: un dialogo intenso e
rasserenante fatto di reciproco rispetto, di affetto, di comprensione,
non senza punte di tensione. Uno di quei dialoghi che non finiscono mai,
se ci si continua a interrogare serenamente o con amarezza sul senso
dell'esistenza nello sgranarsi implacabile dei giorni.
Ajello è il concreto e suggestivo crocevia
dell'azione e degli eventi; un microcosmo, «il centro del mondo»: un
paese fatto di persone e personaggi, di mestieri, di famiglie, di
partite a carte, di luoghi (l'indimenticabile «chiosco delle corriere»),
di atmosfere, di solidarietà, di dialoghi, di inquietudini, di viltà.
Sullo sfondo si agitano, premono e incalzano nei modi più diversi i
grandi e terribili avvenimenti del XX secolo: la Grande Guerra, il
fascismo, le guerre coloniali, il secondo conflitto mondiale, la
Resistenza, la democrazia, la contestazione giovanile, il terrorismo. Il
figlio irrequieto partecipa con decisione, con impeto, con generosità, a
volte con soave imprudenza, agli eventi del nostro «passato prossimo»:
il '68, la contestazione, la stagione della strategia della tensione. È
sempre in prima linea con passione polemica per smascherare, per
denunciare, per aiutare i più deboli (anche le matricole... ). Il dialogo padre-figlio prosegue negli anni e rimane, facendo oggi un preciso bilancio, il vero punto di forza del protagonista, il figlio irrequieto, che continua a cercar di capire questo mondo sempre più strano, contraddittorio, indecifrabile, feroce, dal destino molto incerto.
Giampaolo Borghello
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